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13/04/2004

La musica raï perde Cheikha Djenia
    
Scompare a Orano, in un incidente stradale, la voce più inconciliata e sfrontata della scena algerina, la «diavolessa» che incarnava lo spirito ribelle delle cheikhates.
È morta venerdì scorso alle quattro del mattino, in un incidente stradale, ma la notizia in Europa è stata ripresa soltanto ieri da Libération. La cantante algerina Cheikha Djenia, una delle dive indiscusse della musica raï, aveva 50 anni. L'autovettura su cui viaggiava a sud di Orano molto probabilmente la stava riportando a casa al termine dell'ennesima festa nuziale suggellata dal suo canto. Quella di Djenia era una voce scomoda, pietrosa, impastata di fumo, di atmosfere alcoliche e di rauche allusioni erotiche.
Un rantolo maestoso che riusciva a dar voce - quindi corpo - alle più oscure inquietudini. Ha cantato, forse come come nessun altro nel mondo arabo, i lati oscuri dell'amore, la dannazione del matrimonio e dell'adulterio, la denuncia delle privazioni morali inflitte alla donna nella società algerina, l'esaltazione di tutti i piaceri proibiti. Con Cheikha Remitti, che la precede di una generazione, Djenia incarnava i massimi livelli della tradizione eversiva delle cheikhates, le sacerdotesse fuorilegge della musica algerina. «Il raï mi prende, mi abbraccia, mi stordisce - cantava - È la mia vita, morirò per lui». Erano le quattro del mattino anche quella volta che salì sul palco del Biamtz, celebre locale della costa oranese, nel 1987. Prima si era esibito il promettente e romantico Cheb Hasni: pochi anni ancora, il tempo di diventare dannatamente famoso, e verrà martirizzato sotto casa da un commando islamista. Quella esperienza condiziona anche la sua musica, Djenia rinuncia ai grandi tamburi a cornice e al flauto ney, come dire lo yin e lo yang della musica raï fino a quel momento. Lo stesso azzardo pulsa nelle due cassette che incide nello stesso periodo in tandem con un ultimo arrivato, la voce appena ventenne di Cheb Abdelhak. L'evento è registrato nella storiografia del pop algerino come l'inizio dell'era moderna, delle tastiere elettroniche e dei ritmi sintetici. La figura di Djenia rappresenta un perfetto anello di congiunzione tra il beduino delle origini e quello di oggi. Khaled, appresa la notizia, non ha esitato a rimpiangere «la voce in cui sono "stato a bagno da piccolo". Gli fa eco nel dolore Mami, altra star del raï, cresciuto nella stessa città, Saïda, in cui Djenia rinacque cantante. Era di Marhoum, provincia di Sidi-Bel-Abbès, steppe a sud di Orano. All'età di 17 anni i genitori la obbligano a sposare un cugino, ma dura lo spazio di un autunno. Djenia abbandona il tetto coniugale, con tutte le conseguenze sociali che questo comporta, e pubblica il suo primo 45 giri. Il canto diventa l'unica arma di riscatto. Qualche anno dopo sposa Haji Zauaoui Kis-Khennous, cancelliere in tribunale di giorno e showman di notte. Diventerà il suo consigliere e personal-trainer, il suo primo fan, fino a quando - lo scorso anno - glielo uccidono i militari, per errore, durante un rastrellamento notturno. E dire che la guerra civile in cui l'Algeria è progressivamente scivolata non l'aveva mai intimorita. Quando la violenza omicida degli integralisti riduce al silenzio le voci del raï, anche le più irredentiste, lei intona una sarcastica preghiera: «I tempi sono cambiati, amici miei, che Dio ci protegga. La spina è lì e indica `pericolo!'».

Nel paradiso delle cantanti il suo posticino è in alto, tra Um Khaltum e Maria Callas
     
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